Keynes (1883 1946) rivoluzionò il pensiero economico del tempo secondo il quale la domanda aggregata dipendeva dall'offerta. Cioè qualsiasi fosse stata la produzione essa sarebbe stata assorbita dalla domanda, ipotesi ovviamente assurda. Keynes invece disse che l'offerta dipendeva dalla domanda e da essa dipendono PIL ed occupazione. Più aumenta la domanda più aumentano PIL e occupazione.
Domanda aggregata=Consumi+Investimenti+Esportazioni-Importazioni+Spesa Governativa
Visto che bisogna aumentare la Domanda aggregata per aumentare PIL (Prodotto Interno lordo) e occupazione vediamo di analizzare le singole voci.
In un momento di crisi come questo bisogna cercare di aumentare la Domanda per aumentare l’occupazione .
Per aumentare i consumi bisogna diminuire le tasse alle fasce medio basse in maniera tale da far girare l’economia. Come? Se ad esempio 1000 famiglie avessero maggiore capacità economica e comprassero una camicia in più per ogni famiglia, l’azienda che produce camicie dovrebbe aumentare la produzione, guadagnerebbe di più, ma, ad un certo punto non basterebbe più la forza lavoro e sarebbe” costretta” ad assumere e, quindi, vi sarebbero nuove famiglie che guadagnerebbero e metterebbero in giro nuovi soldi e comprerebbero nuove camicie formando un circolo virtuoso.
Per aumentare gli investimenti delle imprese si possono diminuire il tasso di interesse dei prestiti, in maniera tale che le imprese abbiano più facilità ad innovare attraverso l’acquisto di beni strumentali (solo per fare un esempio).
Per aumentare le esportazioni e diminuire le importazioni si può diminuire il valore della moneta rispetto alle altre attraverso la svalutazione, così da far costare meno le nostre merci che vanno verso l’estero e far costare di più le merci straniere.
Secondo Keynes in momenti di crisi tutto questo non basterà più e quindi non rimarrà altro che agire sull’ultimo addendo e cioè sulla spesa governativa. Questo perché nessuna impresa farà investimenti, anche se i tassi di interesse dovessero arrivare a zero, se non prevede di smaltire ciò che produce. Le imprese preferiranno tenere la liquidità invece di investirlo, questa si chiama trappola della liquidità. Ciò varrà anche per i consumatori, i quali, se potranno, tenderanno a risparmiare e quindi a non mettere in giro liquidità se spaventati del futuro. E, d’altronde, non si potrà agire troppo sulla svalutazione, perché le merci provenienti dall’estero potrebbero costare troppo ed alcune sono essenziali per il nostro paese.
Cosa significa agire sulla spesa governativa? Significa che lo Stato deve fare ciò che l’economia privata non può fare da sola, cioè i lavori pubblici per combattere la crisi: ferrovie, strade, edilizia popolare, banda larga, energie alternative, battaglia contro il dissesto idrogeologico… Questi lavori pubblici aumenterebbero la domanda di beni(Moltiplicatore keynesiano) e occuperebbero migliaia di persone che, guadagnando, immetterebbero liquidità e comprerebbero altri beni, riportandoci alla situazione scritta in precedenza.
Questa ricetta fu adottata dagli USA nel 1929 e li fece uscire dalla crisi.
La continua privatizzazione delle aziende pubbliche attraverso la loro dismissione, quindi è stata ed è tuttora un errore clamoroso, poiché lo Stato non potrà utilizzarle per lanciare, in momenti di crisi, un piano di opere pubbliche necessario per affrontare al meglio le crisi che ciclicamente arrivano. Non a caso i paesi che meno hanno sofferto la crisi partita nel 2007/2008 sono stati quelli ad economia mista.
Bisogna considerare che cittadini e imprese che beneficeranno di queste spese governative pagheranno più tasse allo stato che, peraltro, non dovrà pagare più sussidi di disoccupazione per chi avrà trovato un impiego e quindi, così come previsto anche da Obama, ad un certo punto la spesa iniziale si compenserà.
La spesa pubblica aumenterà a dismisura il debito pubblico solo se la prima verrà attuata in maniera inefficiente e non produttivo. Per Keynes la priorità è sempre la crescita e l’occupazione, perché se si è poveri non si può ripagare un debito e, comunque, il costo sociale sarebbe altissimo se non si dovesse intervenire sull’occupazione.
Nell’ambito delle politiche keynesiane, di cui è in realtà è l’ideatore, si incentra la tassazione sulle transazioni finanziarie in quanto voleva punire chi non utilizzava la notevole disponibilità di moneta per gli investimenti, ma solo per la speculazione a breve termine. Ciò servirebbe per favorire gli investimenti e, quindi, la domanda aggregata.
Altrettanto importante è la patrimoniale progressiva rispetto al reddito che servirebbe a finanziare investimenti pubblici, disincentivare le rendite e indurre agli investimenti.
Nella situazione economica attuale quindi, le politiche di austerità sono controproducenti, in quanto diminuirebbero il reddito nazionale e quindi lo Stato riceverebbe meno gettito dalle imposte e aumenterebbero le difficoltà dello Stato stesso di ripagare il debito pubblico
Politiche di austerità che invece vanno poste in essere nei momenti espansivi per farsi trovare pronti nei momenti di crisi. Tra altro l’Unione europea è stato costruita con criteri molto ristretti che impediscono politiche espansive di stampo keynesiano, criteri che favoriscono esclusivamente la Germania.
Inoltre la Banca Centrale Europea ha poteri molto differenti da quelli della Federal Reserve (Banca Centrale Americana). Infatti la FED può favorire la crescita e l’occupazione stampando moneta oltre che agendo sui tassi di interesse.
In questo quadro, siccome la crisi è dovuta al calo di domanda e non dell’offerta, sono inutili, anzi dannose le liberalizzazioni che tolgono dalle mani dello Stato armi per proporre politiche espansive.
Insomma le politiche economiche neoliberiste portate avanti dall’Europa
e dai singoli stati hanno prodotto solamente danni e recessione ulteriore, cose di cui francamente non si sentiva il bisogno, come dimostra la
situazione greca.
Oggi ci vuole maggiore presenza di pubblico, ci vogliono politiche espansive che facciano cambiare direzione ad un’Europa che, altrimenti, perirà
mese dopo mese, anno dopo anno sotto i colpi delle sue stesse rigidità. A pagare non saranno i ceti politici, a pagare saranno (già in grande parte lo fanno) i ceti medi, le fasce di età giovani
e meno giovani con costi sociali, politici ed economici inimagginabili.
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Lucia (martedì, 11 febbraio 2014 18:00)
Bel contributo, me lo appunto!